TRAMANDO

TRAMANDO. Francesco Arcangeli tra la Pinacoteca Nazionale e la Galleria d’Arte Moderna di Bologna 

 

La Pinacoteca Nazionale di Bologna, il MAMbo e il Museo Morandi rendono omaggio a Francesco Arcangeli, figura cardine della storia e della critica d’arte del Novecento, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte. 

Francesco Arcangeli collaborò con Cesare Gnudi e Andrea Emiliani negli anni della loro direzione della Pinacoteca e fu direttore della Galleria Comunale d’Arte Moderna - oggi MAMbo - dal 1958 al 1968. 

I percorsi proposti in tutti e tre i Musei riflettono la sua idea di continuità tra l’arte del passato e del presente, accostando brani tratti dai suoi testi a opere appositamente selezionate. 

 

Le parole di Francesco Arcangeli che i visitatori troveranno qui lungo il percorso sono tratte dal catalogo della mostra “Natura ed espressione nell’arte bolognese-emiliana” che ebbe luogo presso l’Archiginnasio nell’autunno del 1970. 

In questa mostra, che riassumeva gli studi e le ricerche di una vita, Arcangeli delinea un’interpretazione dell’arte emiliana e bolognese, divenuta da allora in poi imprescindibile, che ne privilegia la componente più espressiva e popolare, fondata su una remota radice contadina in un totale “rapporto, altrettanto remoto e irriflesso, col mondo della natura”.  

Ampliando l’interpretazione di Roberto Longhi, Arcangeli fa emergere prepotentemente questo aspetto in contrasto con quello colto e legato alla tradizione classica, già ampiamente studiato, e rende protagonista l’arte di un territorio, di una “provincia” come la chiama, fino ad allora trascurato dalla critica. 

La connessione fondamentale tra arte e natura segna, per Arcangeli, il percorso di artisti, da Wiligelmo a Morandi, nati negli stessi luoghi ma in tempi diversi, che manifestano “constanti” stilistiche e incarnano il carattere essenziale di una terra in cui Arcangeli si riconosce e che rappresenta la sua stessa comunità. Il percorso fluisce come una linea ininterrotta, che attraversa il tempo e congiunge passato e presente, senza distinzioni di periodi artistici o di epoche, ma i cui passaggi sono scanditi da quel riemergere di un filo nascosto di pensiero, di una inconscia affinità di visione del mondo, quella “tradizione inconsapevole di costume e di vita”, che Arcangeli chiama 'tramando'. 

Il lungo racconto si dipana per otto secoli, attraverso artisti che, sempre in “rivolta” contro le sovrastrutture intellettuali o accademiche del loro tempo, “attingono la loro forza da una radice più largamente umana, rispetto alla cultura che li circonda…rifiutando spontaneamente le certezze di qualsiasi tipo, per aderire alla passione dell’uomo e delle cose, al mutare del tempo e delle stagioni, al nostro vivere ‘qui ed ora’”. 

La mostra iniziava con i rilievi del Duomo di Modena (allora richiamati con riproduzioni fotografiche) scolpiti agli inizi del XII secolo da Wiligelmo dove, lontano da ogni costruzione mistica, il corpo umano è rappresentato e sentito come pura entità fisica. Da Wiligelmo si passa al Trecento e ai “brani di vita” di Vitale da Bologna, con le sue rappresentazioni improvvise e violente in uno spazio che deborda dai confini del dipinto, in contrasto con le calibrate composizioni della pittura toscana. In Jacopino di Francesco e Andrea de’ Bartoli, Arcangeli riconosce un’uguale potenza espressiva; mentre, tra Quattro e Cinquecento sceglie Amico Aspertini che con la sua bizzarra fantasia sovverte i canoni di armonia e di equilibrio rinascimentali, incarnati dal contemporaneo Francesco Francia. Nella prima metà del Seicento è Ludovico Carracci ad esprimere il sentimento più vivo della religiosità popolare, rappresentando gli eventi sacri in uno spazio quotidiano intimo e raccolto. A Ludovico segue l’immediatezza della pittura di Giuseppe Maria Crespi, le cui scene di vita di tutti i giorni appaiono ritratte con una tale adesione del cuore, piuttosto che della mente, da farle apparire addirittura “protoromantiche”. A chiudere la mostra, Giorgio Morandi che, con i suoi rari paesaggi e le sue nature morte, dipinte o incise, rappresenta per Arcangeli la fine di questo percorso di un’arte legata profondamente alla vita.  

“Natura ed espressione” fu un’esposizione particolarmente significativa per la storia della Pinacoteca poiché indagò l’arte emiliana e bolognese da una nuova prospettiva che, grazie ai continui scambi tra Arcangeli e l’allora soprintendente Cesare Gnudi, concorse a definire il progetto di radicale riqualificazione e riallestimento del museo i cui capisaldi ancora persistono.  

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