Ludovico Carracci
Il percorso critico di Arcangeli, dopo Amico Aspertini, tocca i Carracci; tra i tre artisti, Ludovico, Agostino e Annibale, Arcangeli sceglie Ludovico “non certo perché egli sia più dotato di Annibale, ché se mai è legittimo sostenere il contrario; non perché non sia possibile parteggiare per una poetica ‘colta’ anziché per una poetica di immediatezza.
In effetto, nel contesto di questo discorso, Ludovico è l’autore che funge da insostituibile nodo di raccordo fra l’Aspertini e il Crespi, in favore d’una vita quotidianamente sentita, di un rapporto diretto fra opera d’arte e spettatore;
in favore di quelle ragioni esistenziali che sono il fulcro di quanto andiamo proponendo”.
“Non si tratta ora del ‘corpo fisico’ di Wiligelmo, dell’’azione’ di Vitale, della ‘fantasia’ dell’Aspertini, la molla profonda di Ludovico è il ‘sentimento’, una certa inclinazione patetica che ha la sua radice in una schietta religiosità
e che, caso abbastanza singolare, trova la sua propulsione nelle norme prudenti e moderne di uno che aveva vissuto il Concilio di Trento, il cardinale Gabriele Paleotti; il quale anziché ricavarne una dogmatica stringente, ne
aveva tratto spunto per dichiarare la necessità della ‘verosimiglianza’ nel tema sacro”.