Giorgio Morandi

Francesco Arcangeli inserisce Giorgio Morandi al termine del suo percorso di riscoperta della natura ed espressione nell’arte bolognese.
“Ho fatto un esame di coscienza abbastanza lungo sulla possibilità o meno, che un artista bolognese del nostro secolo fosse accomunato a questi antichi. Secondo qualità la scelta non era difficile: il livello di Morandi è tale, a mio avviso, che l’accostamento è assolutamente legittimo. Il problema era un altro, se cioè la sua arte presenti quei significati che lo possano inserire in questo contesto. Ho finito col concludere che sì, non solo era possibile, ma era, piuttosto, necessario.
Mentre gli antichi contestano una situazione aliena, divergente dalle loro radici più fonde, che nel tempo era diventata una dialettica tipica dell’ambivalente situazione bolognese (lotta Aspertini-Francia; Ludovico-Annibale Carracci; Crespi-Creti), Morandi aveva trasferito questa lotta in se stesso; e questa è per me una delle ragioni essenziali della sua grandezza.
In una storia che comincia con la nascita del ‘corpo fisico’ di Wiligelmo, Morandi con la muta disperazione di un moderno figlio di Paul Cézanne, ne segna la conclusione drammatica e desolata.
L’oggetto che era stato amato in ogni sua determinazione, ma senza cadere nell’analisi indiscreta, ora riaffondava nella sua matrice di materia, corpo fisico ancora, ma irriconoscibile, in deriva. Anche se la composizione cedeva i suoi ritmi, le cose si denunciavano in serie, spesso tagliata al limite secondo la costante della pittura esistenziale che abbiamo chiamato del ‘brano di vita’”.

::
About the audio guide
Audio Guida