Amico Aspertini
Tra gli artisti che lavorano a Bologna tra Quattro e Cinquecento, Arcangeli sceglie Amico Aspertini, ponendolo nella stessa linea di Vitale da Bologna e
di Jacopino, per la sua capacità di cogliere la radice più umana, più popolare, ma anche più problematica, della vita.
“Anche quando è entrato a Bologna il mondo nuovo del Rinascimento e, dopo la parentesi eccezionale del predominio ferrarese, esso si placa e
si normalizza nell’arte dolcemente connessa, serenamente esposta alla vita, di Francesco Francia, è allora che, contro questo atteggiamento
moderatamente aulico dell’arte in auge alla corte dei Bentivoglio, insorge un nuovo campione della pittura locale, Amico Aspertini”.
“Già dai suoi primi anni romani non aveva voluto carpire i segreti della classicità aurea ed armoniosa che affascinò Raffaello, ma quel mondo aveva
sentito anzi, immaginosamente e polemicamente come ‘rovina’. Nello stesso momento che si appropriava della classicità, prevaleva in lui la volontà di
distorcere quella proporzione (con un abuso analogo a quello remoto di Wiligelmo), di vederla erosa dal tempo. Polvere di secoli, nostalgia forse
anche, ma affermazione sùbito, che la vita vera non la si può fermare in canoni eterni”.
“Sono in gestazione gli anni splendidi di Leone X, ma, ancora prima che la serpe velenosa del manierismo cominci a mordere entro quel corpo
armonioso, già i tempi hanno dato, per più avvisi, il segno di mutamenti profondi. L’edificio apparentemente perfetto scricchiola alle basi, correnti
nascoste muovono il sottofondo di quelle acque serene. L’Aspertini è tra gli avvistatori più profondi della crisi, uno dei campioni più personali di un
‘antirinascimento’ che inquina ogni idea di sicuro dominio, la contesta coi suoi liberi umori”.
“Egli è, se mai, come fu Vitale da Bologna, in pieno parallelo agli spiriti del Nord, segnatamente ai tedeschi, che del Rinascimento segnano l’antipodo
più pronunciato. L’Aspertini è inserito con le sue forze d’artista, che sono rilevanti, e col suo umore di uomo profondamente libero, in quella grande
ondata dell’arte e della vita che spalanca il mondo, che travalica il cerchio magico dell’unità rinascimentale e della visione platonica”.
Aspertini “è imprevedibile, mutevole, inquieto. Se mette mano al pennello, la bellezza non lo appaga; qualche cosa di oscuro e di insopprimibile logora
o storce o deforma in un perpetuo travaglio esistenziale la bellezza che sembra trionfare intorno e, prima di tutto in quel giovane, non tanto più
giovane di lui, Raffaello Sanzio, nelle cui opere sembra che il tempo non passi, che brilli un’idea di perpetua e dorata armonia. Ma il bolognese sente
che la verità non è lì, che la vita è altra cosa. La sua gente abnorme eppure quotidiana non ha niente a che spartire col sogno d’un’aurea temperie umana
che sognava Castiglione, amico di Raffaello; anzi, anticipa, se mai, quella pìcara e miseramente avventurosa di soldatacci sbandati, di villici sventurati
o astuti che popola le scene del Ruzzante o i versi del Folengo”.